2. Da Manhattan a Roma

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***NDR***

Justine Franco, regina del web, ha accettato di andare a Roma per conto del Guardian, ma non ha idea di come farà a intervistare il Papa su una questione che ha tutte le carte in regola per rivelarsi una colossale bufala.

*** AMM***

«Robe da pazzi, parlare col Papa! ... e di apparizioni mistiche, ma dai?!» - Justine Franco era appena uscita dalla gigantesca porta girevole del palazzo della redazione. Era ridicolo: fra tutti gli stronzi del Guardian Hutchinson aveva scelto di mandato proprio lei che non avrebbe creduto in dio nemmeno se se lo fosse ritrovato davanti, su una nuvola, circondato da un coro di cherubini nudi e senza pisello. «Proprio io?» - si era detta, agitando le braccia per fermare un taxi prima di rassegnarsi e chiamare un Uber. «E come diavolo lo scrivo un pezzo su qualcosa di così ridicolo come un'apparizione mistica?»

Arrivata a casa, era volata all'undicesimo piano senza salutare nessuno, tutta concentrata. Mentre preparava la valigia (grande quanto può essere grande la valigia di una rock star in partenza per un tour da 86 tappe) non riusciva a smettere di domandarsi cosa avrebbe potuto chiedere o dire al Papa. «Salve eccellenza... santità o come cazzo devo chiamarti? Ecco, magari il cazzo lo lasciamo stare.»

La notte era passata via veloce, tipo chiudi gli occhi che è tardi - ommioddio è già giorno! Quando il doppio telefono aveva iniziato a riprodurre le note di Back in Black della Winehouse, Justine era già in piedi, anche se ancora piuttosto lontana da uno stato vigile. L'Uber era già arrivato. In modalità zombie, aveva raggiunto l'ascensore e poi la strada e poi l'Uber. Una volta in auto, dopo aver deliberatamente ignorato il messaggio di Robert (che supplicava di avvisarlo appena atterrata), aveva aperto il portatile con l'idea di fare un po' di marketing intelligence sull'uomo più potente della chiesa cattolica. Robert, mentre lei era ancora ferma alla prima pagina di ricerca, aveva mandato un messaggio raccomandandole di comportarsi bene. "Che il Papa è il Papa", aveva scritto. «Ma dai? E chi l'avrebbe mai detto?»

Un paio d'ore più tardi, in aereo, nel girarsi per dare un'occhiata al parterre, aveva visto un tizio che sembrava fisso su di lei, come se le stesse facendo una TAC in diretta. Lo sguardo vagamente catatonico dell'uomo non l'aveva mollata per tutta la durata del volo dato che ogni volta che Justine si era voltata, l'aveva beccato a fissarla.

Nove ore più tardi, arrivata a Fiumicino, appena fuori dagli arrivi internazionali aveva visto un omino in un minuscolo doppiopetto gessato che agitava un cartello all'italiana, scritto col pennarello e tutto in capital: cognome e nome. Franco Justine, da carabiniere.

Lo aveva raggiunto piuttosto divertita e lo aveva ascoltato borbottare in una lingua che nelle intenzioni dell'omino doveva essere inglese, ma che era poi uscito dalla bocca del suddetto più tipo una frase in tedesco pronunciata da un arabo con la bocca piena.

«Parlo italiano.» - aveva detto lei, tendendo la mano al mini-man che aveva ricambiato quasi con un inchino, presentandosi come Gualtiero Corri, autista in servizio presso l'hotel Cesi.

«Mi dovete scusare, signora, non sono abituato a... insomma, voglio dire... siete parecchio alta. E se poi mi posso permettere, non mi aspettavo voi, signora, cioè, mi spiego, aspettavo voi, ma non proprio voi-voi.»

Justine aveva piegato la testa verso la spalla sinistra ed era rimasta in attesa di capire che intendesse l'omino, il quale nei minuti seguenti aveva poi provato a riformulare il concetto: la scritta sul cartello (realizzato da qualcun altro) lo aveva ingannato portandolo ad aspettarsi di incontrare un uomo, anziché una splendida giovane, giovanissima, signora come quella che invece gli si era appena presentata.

Una quarantina di minuti più tardi, caricata la valigia in auto e conversato amabilmente fino a superare il raccordo, Justine Franco e Gualtiero Corri erano arrivati a destinazione, di fronte all'ingresso di Palazzo Cesi, Hotel cinque stelle Superior. Durante il tragitto Corri le aveva spiegato come le fondamenta della struttura che stava per ospitarla, risalissero al primo ventennio del XVI secolo, posate quasi in concomitanza con quelle della Basilica di San Pietro, a poco meno di quattrocento metri di distanza.

Prima che Justin avesse il tempo di guardarsi intorno, un ragazzone dalla pelle ambrata dentro allo stesso doppiopetto gessato di Corri, solo lungo il doppio, si era precipitato a prendere i suoi bagagli e a farle strada. Sembrava un modello di Abercrombie, Jamal: più di uno e novanta, un corpo da urlo e una fila di denti bianchissimi e perfettissimi da spot Durban's. «Non male, come benvenuto...» - si era detta, ringraziandolo mentre lo guardava dal basso, in estasi modello Santa Teresa da Manhattan.

Una volta superato l'ingresso, per la seconda volta in pochi minuti, Justin era rimasta a bocca aperta per lo spettacolo: soffitti altissimi, colonne, archi e marmi bianchi immersi in un giardino d'inverno da togliere il fiato.

Il viaggio a Roma all'inseguimento della bufala sulle apparizioni mistiche era iniziato meglio del previsto.

Abel &  Cain: Fratelli di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora