Manhattan: in redazione

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La redazione del Guardian era in tempesta e la tempesta aveva due sole voci; entrambe arrivavano dall'ufficio del redattore capo, una era quella di Robert Hutchinson, l'altra di Justine Franco. I toni erano alti. Nessuno, oltre i vetri, muoveva un muscolo. Una trentina di cursori lampeggiavano, sospesi, all'unisono con i cuori dei rispettivi proprietari, muti come statue. Più che una redazione sembrava un museo, delle cere.

Justine Franco stava urlando col capo che sembrava volerla spedire in cerca di bufale da qualche parte in Europa.

«Robert, ma cosa ti ho fatto? Perché proprio io?»

«Justine, dai, cazzo, sei l'unica che parli italiano, e se c'è una speranza di trasformare questa potenziale stronzata in una notizia, quella sei tu.»

I ricci rossissimi di Justine seguivano l'incazzatura della sua testa svolazzando di qua e di là come la chioma di un albero in mezzo a un uragano. Nove anni di indagini, inchieste, articoli in prima linea sul blog più seguito di mezzo mondo e ora... questa?

«See, inventatene un'altra che non me la bevo.»

Robert Hutchinson non aveva altra scelta. C'era di mezzo il Vaticano, roba forte, magari finta, sì, anzi, quasi sicuramente finta, una bufala montata ad arte, ma chi altro avrebbe potuto mandare?

«Mettiamola così: o prendi l'incarico e parti per Roma, o prendi la porta e sparisci.» - aveva detto Robert, serafico. Troppo serafico, in effetti, per essere uno che aveva appena ricattato la sua penna di punta e che per via del ricatto avrebbe potuto vederla sparire sul serio da un momento all'altro. Meglio recuperare: «No, senti, scusa, non volevo dire che... insomma, però, dai, davvero...»

«Ti butto giù due righe che le leggi, o pensi di farcela da solo a esprimere uno straccio di concetto?»

«Justine, sul serio, la situazione è seria.»

«Seria? Come me, Ro-bert. Anche io sono seria. Sono SE-RIS-SI-MA! Renditi conto di quello che stai dicendo! Tu vuoi spedirmi a Roma per delle... delle cosa? Apparizioni?»

«Te l'ho detto, se è una bufala, ti sei fatta un giretto a Roma e tanti saluti. Se non lo è, un Pulitzer non te lo leva neanche Cristo...»

Justine, che a quel punto aveva la faccia così rossa che le erano addirittura sparite le lentiggini, alla parola che inizia per P e finisce per Ulitzer si era fermata un momento, era arretrata di mezzo passo, si era sistemata i jeans un po' troppo a vita bassa saltellandoci dentro e aveva poi allungato la mano.

«Cià, dammi, tanto lo so che è pronta.»

«Cosa?»

«La busta. Quella con dentro le robe, i dettagli, i bigli, tutto.»

«Ah, quindi... vai?»

«No, la prendo solo perché così la posso bruciare.»

Mentre l'intero staff della redazione, oltre il vetro, dopo che i toni si erano abbassati, si era improvvisamente ricordato di avere del lavoro da fare, roba che per l'appunto fanno quelli che lavorano in una redazione, tipo scrivere articoli, postare Tweet o controllare i follower di Instagram, Robert stava aprendo un cassetto. Aveva estratto una busta giallina e l'aveva allungata oltre la scrivania, verso Justine.

«So che tu pensi che sia una specie di punizione, ma credimi, mando te perché sei... il mio miglior giornalista.»

«Non sono una giornalista, lo sai. Ma, OK, lascia stare. Ho detto che ci vado e ci vado, ma sappi che poi mi prendo due, anzi no tre, magari quattro settimane di stop.» - dice lei, lasciando cadere la busta nella Louis Vuitton. Arriva da lui, quella borsa e non è un modello base: ha le sue iniziali stampate e gli interni personalizzati con il nome del blog che ha reso famosa lei e molto ricco lui. Torna a guardarlo negli occhi.

«Ti chiedo solo di non dare i miei pezzi a nessuno fino al mio rientro e, a proposito,» - estraendo il biglietto dalla borsa - «non ho neanche visto le date...»

Nel vederle, subito dopo, si era rimessa a urlare e gli aveva chiesto se fosse di colpo impazzito, del tutto, si era corretta, che un po' sciroccato c'era già.

«Domani? Parto domani e la data di rientro è aperta? Che cazzo vuol dire che è aperta? Quanto CAZZO CI DEVO RESTARE IN MEZZO AI PRETI?!»

Robert non sapeva se ridere o arrabbiarsi di nuovo e stavolta per davvero. «Justine, non ricominciare. La data di rientro è aperta perché così torni quando vuoi, ma non prima di aver il pezzo pronto.»

«Io te lo giuro, Hutchinson, se è una bufala, a Roma ci resto un mese. All'Exedra.» - aveva detto, girandosi e lasciando la stanza.

Attraversando la redazione aveva sentito tutti gli occhi addosso come capita spesso, molto spesso, diciamo pure quasi sempre, a tutte quelle che sono alte, rosse, fighe e un po' Nicole Kidman prima di diventare un coniglio imbalsamato dopo la ventiseiesima plastica integrale.

Helen, l'ultima arrivata e la più stronza di tutta la redazione, acquisto rubato al Times di Londra, le aveva lanciato un'occhiata finta-carina.

«Ehi, Pulitzer, buona fortuna! Mi sa che ti servirà.»

"Pulitzer": è così che la chiamavano, al giornale. Lo sapevano tutti che puntava a quello, che non aveva altro scopo nella vita. Justine nemmeno aveva risposto. 

«Verrà anche dal Regno Unito, la stronza, ma a parte un accento chic e un bel culo, non ha altro.» - si era detta, sfilando via nel pianerottolo oltre le porte a vetri del Guardian.

Abel &  Cain: Fratelli di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora